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Pittore

Clemente Tafuri


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Clemente Tafuri

( Salerno 1903 - Genova 1971 )

Pittore

    Clemente Tafuri

    Clemente Tafuri nasce a Salerno nel 1903. Nipote del pittore di genere Raffaele Tafuri, inizia la sua formazione nella bottega di un decoratore locale, per poi completare il suo percorso di studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove entra in contatto con l’ormai anziano Vincenzo Migliaro. Ben presto, animato da una giovanile esuberanza e da un tratto cromatico istintivo ed energico, si fa notare dalla critica con scene di vita quotidiana, paesaggi e dipinti di figura.

    Una pittura dinamica e luminosa: tra verismo napoletano e rielaborazione di stilemi del Seicento

    Nonostante Clemente Tafuri sia un pittore nato e cresciuto nel primo Novecento, ripone la chiave del suo successo artistico nella rielaborazione degli stilemi tipici della Scuola napoletana del secondo Ottocento, di cui accoglie l’attenzione al vero, il cromatismo dinamico, costituito da vivaci tocchi veloci, e la gestione della luce, che presenta suggestioni non soltanto provenienti dalla pittura di Francesco Paolo Michetti, ma anche dal Seicento.

    Improvvisi guizzi di luce radente illuminano dettagli cromatici che erompono da sfondi bui e ambientazioni cupe che richiamano alla memoria la pittura di Caravaggio e dei caravaggisti, conosciuta negli anni dell’Accademia anche grazie alla vicinanza a Vincenzo Migliaro.

    Quest’ultimo, allievo di Domenico Morelli, ma anche profondo conoscitore della pittura del Seicento partenopeo, trasmette al giovane Tafuri alcuni valori cromatici che ritroviamo puntualmente nella gestione del dato reale e in una rilettura del verismo napoletano attraverso un tocco movimentato, sintetico e ricco di suggestive lumeggiature quasi materiche.

    Nelle scene di vita quotidiana, nei dipinti di genere e nei ritratti, il pittore salernitano sa condurre sapientemente anche un’accurata osservazione del verismo di Antonio Mancini, che si scorge soprattutto nei volti dei pescatori, delle zingarelle, nei contadini e nelle pescivendole che anima grazie ad uno smaliziato realismo veloce, dinamico e luminoso.

    La fortuna critica di Clemente Tafuri inizia a partire dagli anni Trenta, dopo aver partecipato, nel 1933, alla Mostra Salernitana d’Arte, occasione in cui presenta al grande pubblico la sua pittura mossa da toni accesi e da intensi passaggi chiaroscurali.

    I dipinti dedicati alla guerra e al colonialismo africano

    La sua immediatezza pittorica, accompagnata da corposi impasti cromatici, caratterizza tutte le opere realizzate tra gli anni Trenta e Quaranta, che hanno reso Clemente Tafuri uno degli ultimi rappresentanti del verismo napoletano tra le due guerre. Tra i lavori più significativi, vi sono alcune scene di guerra, legate alle tavole eseguite per la“Domenica del Corriere”, che ci mostrano anche il suo cospicuo lavoro di illustratore e cartellonista pubblicitario. Molte di queste illustrazioni sono dedicate alla guerra civile spagnola o alle conquiste coloniali, poi trasformate in cartoline per la casa editrice Boeri.

    Alla fine degli anni Trenta, quindi, risalgono anche alcune opere tese a sottolineare la presenza italiana nella scena imperialistica europea, soprattutto narrata attraverso le imprese militari. In particolare, per Italo Balbo, governatore in Libia, esegue l’affascinante ritratto dello Zaptiè libico, avvolto nell’acceso mantello rosso che contrasta con la carnagione scura del viso altero, conservato nel Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri di Roma a piazza Risorgimento. Nello stesso Museo, sono esposti anche altri dipinti di Tafuri che si concentrano sulle azioni dell’Arma: Gunu Gadu, dedicato alla battaglia in cui cadde il Capitano Bonsignore, e Resurrezione, del 1953, in cui mostra il sacrificio di Salvo D’Acquisto, intento a strapparsi la camicia con grande pathos, per aprire il petto ai colpi dei tedeschi.

    Dal mercante di schiave

    Nell’ambito della produzione colonialista di Clemente Tafuri, particolare attenzione va dedicata ad un’opera orientalista risalente al 1942, intitolata Dal mercante di schiave. In questo olio su tavola di grandi dimensioni e di andamento orizzontale, il pittore ci offre la visione di un interno avvolto dall’oscurità. Il mercante di schiave ne mostra una particolarmente avvenente denudandola della sua veste, mentre le altre la circondano con abiti dal cromatismo acceso, ascoltando il suonatore di kerar, la tipica lira etiope.

    Tafuri ci ripropone con sapienza e scioltezza un classico topos dell’iconografia orientalista e coloniale, quello della tratta delle schiave, che raffigura tipi femminili sensuali e dal fascino esotico. La chiave che utilizza è quella di un cromatismo impreziosito da una pennellata densa e sintetica, animata da improvvisi guizzi luministici memori della pittura di Michetti. Il Voto della Galleria Nazionale di Roma, cardine della produzione del pittore abruzzese, ritorna in questo capolavoro di Tafuri grazie a diversi riferimenti: la scelta di un formato monumentale ed orizzontale, la tematica folklorica e popolare, la selezione di toni scuri ripresi dalla tradizione seicentesca e soprattutto la frammentazione della forma e del colore. L’accostamento di parti finite e volutamente non finite ha l’intento di mettere in scena un realismo pungente e fosco, che unisce la gamma di colori chiari alla Fortuny ad ombreggiature drammatiche.

    Elena Lago

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