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Pittore
Felice Carena
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Felice Carena
I dipinti ad olio su tela di Felice Carena hanno quotazioni tra i 4.000 euro e i 17.000 euro circa. Superano invece i 20.000 euro le grandi tele di figura o le nature morte degli anni Dieci dal sapore simbolista. Le opere su carta vanno dai 200 ai 1.000 euro di media a seconda del soggetto.
Le valutazioni suggerite sono solo generali. La stima di un’opera è infatti influenzata da molti fattori come lo stile, la tecnica, il soggetto, il periodo, la dimensione e lo stato di conservazione. Si consiglia di contattare i nostri esperti per una valutazione aggiornata e gratuita della tua opera di Felice Carena.
Si forma presso l’Accademia Albertina di Torino seguendo i corsi di Giacomo Grosso, senza però essere troppo entusiasta dell’ambiente accademico. A vent’anni compie un viaggio a Parigi per avvicinarsi alle espressioni internazionali e rimane colpito soprattutto da François Millet.
I primi del Novecento, sono gli anni in cui Carena si avvicina fortemente al Simbolismo: si lega ad Arturo Graf, a Enrico Thovez e soprattutto a Leonardo Bistolfi. Inizialmente, il suo linguaggio si nutre delle opere di Eugène Carrière e di Arnold Böcklin, traendo potenti suggestioni simboliche e liriche.
L’esordio di Felice Carena risale 1899, quando a Torino espone Vecchio e L’erbivendola. Di matrice più nettamente simbolista sono Madre e Due fanciulli nella campagna del 1903 e La rivolta del 1904. Nel 1906, il trasferimento a Roma lo avvicina ancor di più a suggestioni secessioniste provenienti dal nord Europa, ma anche ad un colorismo di matrice seicentesca. Alla Biennale del 1909 espone Vittoria e I viandanti, dipinto ricco di richiami all’arte antica ma anche fortemente legato al presente, ad un simbolismo sofferente e oscuro, molto vicino al linguaggio böckliniano.
Nella sala personale che gli viene dedicata alla Biennale di Venezia del 1912 espone ventuno opere tra cui Ofelia, Studio di nudo, Bimba che dorme, Il morto, Melagrane, Marzia, Il viandante e Anemoni. Le influenze simboliste sono ancora pienamente rispettate nella mostra della Secessione romana del 1913, in cui i Re magi presentati indicano una forte propensione verso un decorativismo dalle linee spezzate e dalla spiccata ed espressiva bidimensionalità. Continua sulla scia del simbolismo per tutti gli anni della prima guerra mondiale, per poi separarsene all’inizio degli anni Venti.
È il periodo in cui Carena si rifugia nel tranquillo e fertile ambiente di Anticoli Corrado, maturando lentamente quella poetica del Ritorno all’ordine che caratterizza tutta la sua produzione matura. Dalla linea aspra e bidimensionale della Secessione l’artista approda gradualmente ad una visione classica dettata dallo studio dell’antico.
Il suo non è un canonico richiamo ai valori del primitivismo, come avviene per Carrà, Casorati, Severini o Martini, ma è una riscoperta del valore plastico e cromatico del Cinquecento e del Seicento. Il “manifesto” di questo purismo risale alla Biennale del 1922, quando Carena presenta Deposizione, Il presepe, Il porcaro e soprattutto La quiete, importante citazione di Tiziano e Giorgione, non solo a livello cromatico, ma anche a livello compositivo.
Nel 1924 l’artista si trasferisce a Firenze, perché viene nominato professore di pittura all’Accademia, rimanendovi fino al 1945. Stringe un forte legame artistico e personale con Ardengo Soffici e con Libero Andreotti, anche lui interessato dalla riscoperta dell’antico, in ambito scultoreo.
Il 1926 è l’anno della sua personale presso la Biennale veneziana. Vi espone cinquanta opere che riassumono i suoi sviluppi fino a quel momento: Giacinti, L’angelo che sveglia i pastori, La cena in Emmaus, Canestro di frutta, Paesaggio di Anticoli, Bagnante, Natività e Ritratto di mia moglie. Altre nature morte, ritratti e paesaggi vengono esposti alla Quadriennale romana del 1931, in cui Carena esprime tutta la sua reinterpretazione degli elementi cromatici del Seicento, ovviamente sotto la luce di una linea moderna e sincera, ereditata dalla ricerca cézanniana.
Alla Biennale del 1932 invia Ritratto all’aperto, Fiori, Conchiglie e limone, Autoritratto con amico. Durante la guerra il suo studio di Fiesole viene bombardato ed è costretto a rifugiarsi nel convento di San marco. Nel dopoguerra, terminato il suo incarico accademico, si trasferisce a Venezia dove si lega ad Oscar Kokoschka: il suo linguaggio ritorna ad un espressionismo duro, in cui le forme si disgregano e si uniscono in tragiche visioni, anche di matrice sacra. Muore nella città lagunare nel 1966.
Elena Lago
Il sito viene aggiornato costantemente con opere inedite dei protagonisti della pittura e della scultura tra Ottocento e Novecento.